lunedì 21 settembre 2009

Il mio vicino Totoro

Serranda di un garage a Tokamachi!

Dopo 21 anni dalla sua uscita in Giappone, Totoro è arrivato nelle sale italiane: pur avendolo visto decine di volte, siamo corsi al cinema.
Tanti bambini ma anche adulti, qualcuno da solo, che sicuramente come noi sapeva già cosa stava andando a vedere.

Io ho cominciato a piangere coi singhiozzi alla prima schermata blu, e non ho più smesso. Non perchè ci fosse qualcosa di triste ma, anzi, perchè era tutto incredibilmente bello.

Lì è contenuto con esattezza il motivo del mio amore sviscerato per quella terra, quello che a parole non riesco mai a spiegare.

Il fatto è il Giappone è capace di creare sogni simili, che poi in fondo forse sogni non sono.

L'atmosfera delle risaie, delle case di legno e dei santuari, delle cicale e delle rane, lo spirito dei boschi... non è così magico perchè si tratta di un cartone animato. E' così davvero.
Chi di noi da bambino non ha mai visto muoversi i Nerini del buio (makurokurosuke) agli angoli della stanza, spegnendo la luce prima di addormentarsi?

Avrei voluto che in quella sala ci fossero tutti i bambini di Milano (e possibilmente meno madri: "eh si, questo cartone è più da femmine"... mio Dio.) perchè, se solo potessero crescere tenendo a mente questa meraviglia, io credo avrebbero una vita più genuina, più gentile, più lieve.


Totoro alla fermata del bus e la crescita dei semi...

sabato 12 settembre 2009

Terra, acqua e fuoco.


Tra tutte le esperienze nipponiche che non ho ancora raccontato e tra cui sto cercando di fare ordine nella mia testa, c'è questa, iniziata come tutte le altre: la vicina di casa dal grembiule giallo che mi sveglia di buon'ora e mi carica in macchina per una destinazione imprecisata.
Una vecchia scuola in montagna, ho scoperto poi, in cui un maestro insegnava alle donne del luogo a lavorare la terracotta.

L'imperfezione speciale

Ciabatte all'ingresso, grembiule da lavoro, un tornio a testa e soprattutto tutte le spiegazioni in giapponese. Si sono fatti in quattro per farsi capire.
Il mio tornio che girava veloce, la mia fatica evidente e qualche fallimento tecnico non gli impedivano di esclamare "sugooooi", "jozu neeee"... ma io nella mia opera non vedevo granché di eccezionale.

...La mia firma!

Le mani del maestro invece erano uno spettacolo. L'argilla gli obbediva silenziosa, si piegava ad ogni sua leggera pressione senza che lui facesse fatica.
Più efficiente di una macchina, in un paio di minuti preparava tazze da the, piatti, vasi.


Sono stata alla scuola tre volte in tutto: la prima ho dato forma alle mie tazze, la seconda, con l'argilla quasi asciutta, le ho decorate, ma la terza..... è stata una cerimonia tribale.
Innanzi tutto era notte fonda.
Il maestro non era nell'aula ma all'aperto, vicino al forno con alcuni uomini del paese: erano lì da tre giorni, a curare il fuoco, dandosi il cambio per riposare sui sacchi a pelo stesi in classe.
Le donne si occupavano di portare qualcosa da mangiare, una zuppa di miso calda che li riscaldasse, il caffè che li tenesse svegli.
Loro a turno controllavano la temperatura, aggiungevano legna, facevano respirare il fuoco in un paesaggio completamente nero e sommerso nel gracidare delle rane.
Tante risate, tanto sake (che il maestro aveva chiesto di evitare per non perdere la concentrazione), tante stelle sulle nostre teste.
Intorno al fuoco, come in una cerimonia che sa di antico.

La tribù intorno al fuoco

mercoledì 9 settembre 2009

Post it


Vorrei sempre ricordarmi di non cedere alla pigrizia, all'apatia, alle giornate da bollino variopinto in autostrada, alla domanda se valga o meno la pena di piantare una tenda per una notte soltanto.

Vorrei tenerlo a mente e forzarmi a dire di si anche in quelle occasioni, che sicuramente si presenteranno, in cui magari per comodità direi di no.

Perchè non ci sono motivazioni valide abbastanza per rinunciare al primo bagno nel mare di metà settembre, ad una notte ventosa passata in tenda, agli amici, alla celebrazione dell'ultimo viaggio di una macchina che ancora conserva la poesia del mangiacassette e che ha fatto valorosamente il suo dovere.